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Società a partecipazione pubblica - L'adozione del Modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 e i Piani di prevenzione della corruzione ai sensi della Legge n. 190/2012

2/3/2014

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Con motivazioni che non si condividono, riferendosi alle società a partecipazione pubblica parte della dottrina si era pronunciata per la mancata applicazione della disciplina in tema di responsabilità amministrativa per "colpa organizzativa" prevista dal D.Lgs. n. 231/2001.
Sin dal 2010 la Corte di Cassazione ha però chiarito che anche questi particolari enti di diritto privato sono soggetti a tale disciplina.
Si citano qui le sentenze della 2^ Sezione penale n. 28699 del 21 luglio 2010 e n. 234 del 10 gennaio 2011 e la sentenza della 6^ Sezione penale del 26 ottobre 2010.

Più recentemente tali pronunce giurisprudenziali hanno trovato conferma nel "Piano Nazionale Anticorruzione" (P.N.A.) predisposto dal Dipartimento della Funzione pubblica e approvato dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT, individuata quale Autorità Nazionale Anti-corruzione - A.N.A.C.) con la delibera n. 72/2013 dell’11 settembre 2013.
Questo documento si rivolge anche agli “enti di diritto privato in controllo pubblico”, alle società partecipate e a quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359, c.c..
Per “enti di diritto privato in controllo pubblico” si intendono “le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle pubbliche amministrazioni, sottoposti a controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi”.
Gli adempimenti in materia di prevenzione della corruzione che devono essere – con “decorrenza immediata” – adottati da tali enti sono analoghi a quelli posti a carico delle Amministrazioni pubbliche; al riguardo, specifici obblighi di controllo sono stabiliti in capo alle Amministrazioni vigilanti. 
Lo stesso P.N.A. precisa che:
“Per evitare inutili ridondanze qualora questi enti adottino già modelli di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d.lgs. n. 231 del 2001 nella propria azione di prevenzione della corruzione possono fare perno su essi, ma estendendone l’ambito di appli-cazione non solo ai reati contro la pubblica ammini-strazione previsti dalla l. n. 231 del 2001 ma anche a tutti quelli considerati nella l. n. 190 del 2012 , dal lato attivo e passivo, anche in relazione al tipo di attività svolto dall’ente (società strumentali/società di interesse generale).
Tali parti dei modelli di organizzazione e gestione, inte-grate ai sensi della l. n. 190 del 2012 e denominate Piani di prevenzione della corruzione, debbono essere tra-smessi alle amministrazioni pubbliche vigilanti ed essere pubblicati sul sito istituzionale.
Gli enti pubblici economici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale o regionale/locale devono, inoltre, nominare un responsabile per l’attuazione dei propri Piani di prevenzione della corruzione, che può essere individuato anche nell’or-ganismo di vigilanza previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 231 del 2001, nonché definire nei propri modelli di organizzazione e gestione dei meccanismi di accountability che consentano ai cittadini di avere notizie in merito alle misure di prevenzione della corruzione adottate e alla loro attuazione.”

Altra conferma dell'assoggettabilità delle società a partecipazione pubblica (e in particolare delle cd. società in house - v. oltre) alla disciplina del D.Lgs. n. 231/2001 si può trovare nel testo dell'art. 15, comma 1 lett. a) dello stesso Decreto, che qui di seguito si riporta:
<<1. Se sussistono i presupposti per l'applicazione di una sanzione interdittiva che determina l'interruzione dell'attività dell'ente, il giudice, in luogo dell'applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione dell'attività dell'ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 
a) l'ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;
>>.

Sempre con riferimento alle società a partecipazione pubblica, più recentemente la Corte Suprema ha affermato che la società di capitali a partecipazione pubblica è soggetta alle regole privatistiche del Codice civile, ma se assume la forma dell'in house rientra nella sfera pubblica e i suoi amministratori che danneggiano il patrimonio sociale sono colpevoli di danno erariale.
In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 25 novembre 2013, n. 26283) ribadiscono l'orientamento (vedi recente Cassazione n. 22209/2013) per cui se la Pubblica Amministrazione utilizza lo strumento della società di capitali per esercitare un servizio pubblico locale, tale società pubblica è soggetta alle norme privatistiche. Se però tale società di capitali ha le caratteristiche dell'in house (ossia: 100% pubblica, esercizio del servizio in favore della P.a., controllo analogo dell'Amministrazione sulla società) sussiste un rapporto di alterità tra P.A. partecipante e società in house partecipata: quest'ultima è una longa manus dell'Amministrazione partecipante. Quindi anche la distinzione tra il patrimonio dell'Ente e quello della società si pone in termini di separazione patrimoniale ma non di distinta titolarità. Il danno al patrimonio fatto dagli amministratori della in house è un danno al patrimonio riconducibile all'Ente partecipante, per cui scatta il danno erariale e la giurisdizione della Corte dei Conti.

Per le società in house, per le quali si verifica il cd. "controllo analogo" delle Amministrazioni-soci sulla società (con la conseguente attribuzione di specifici poteri di amministrazione in capo all'Assemblea dei soci), altro aspetto peculiare è quello della individuazione dei "soggetti apicali" ai sensi dell'art. 5, D.Lgs. n. 231/2001. 

Il requisito del "controllo analogo" postula un rapporto che lega gli organi societari della società affidataria con l’ente pubblico affidante, in modo che quest’ultimo sia in grado, con strumenti pubblicistici o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare "tutta" l’attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento; risulta quindi indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci. Come precisato  dal Consiglio di Stato (Sezione 5^, decisione 29.12.2009, n. 8970) è corretta e legittima la modalità organizzativa dell’ in house providing c.d. frazionato, nel quale cioè la società in house costituisce longa manus e organo di gestione del servizio per tante e diverse amministrazioni ed è strumentale ad una gestione associata ed economica della attività dalle medesime prestate; in sostanza, ciò che rileva ai fini della legittimità dell’affidamento non è la circostanza della configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull’intera società in house, bensì l’esistenza di strumenti giuridici (di diritto pubblico o di diritto privato) idonei a garantire che ciascun ente, insieme a tutti gli altri azionisti della società in house, sia effettivamente in grado di controllare ed orientare l’attività della società controllata.

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